elezioni amministrative

Catania al voto. Da Totò Cuffaro a Enzo Bianco, gattopardi in azione

di Enrico Bellavia   25 maggio 2023

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Un tempo Milano del Sud, la città galleggia in bassa classifica quanto a sviluppo. E aspettando i fondi del Pnrr, sceglie il nuovo sindaco. Con il centrodestra che testa la sua tenuta e un’alleanza giallorossa. Mentre si muovono nelle retroguardie vecchi dc. E l’ex primo cittadino, escluso, mette la figlia capolista

Accennano passi indietro e di lato, nel minuetto che è liturgia della politica isolana. Dove annacarsi è un’arte, ancheggiano indolenti. Vanno, ma mai veramente. Tornano, schivando rovesci e alterne fortune. E quasi sempre li ritrovi intorno al centro. Meta, origine, preda e bottino. Lì il consenso è dote. Da custodire o tramandare di generazione in generazione.

Catania, un tempo Milano del Sud, decima città d’Italia, con poco meno di 300 mila abitanti e un bacino metropolitano di 700 mila, va al voto. Oggi galleggia in bassa classifica quanto a Pil, redditi, scolarizzazione e prospettive, in percentuale inversamente proporzionale al ritmo con il quale sforna nomenklatura d’esportazione. E aspetta i 186 milioni del Pnrr per cambiare il volto a un territorio che ha avuto il suo sacco edilizio, i quartieri dormitorio, i morti eccellenti e quelli scomodi. Che ha una mafia di città che si dà del tu con la Catania degli affari, una lobby sempre vincente, come ha spiegato il magistrato Sebastiano Ardita.

Si va alle urne scossi dai sussulti del vulcano. E si gioca alla roulette di intese, accordi, voti disgiunti, desistenze e convergenze che guardano avanti, alle Europee del 2024. Sul proscenio, una pletora di contendenti, sette aspiranti sindaco e 680 a disputarsi i 36 posti in Consiglio.

Sullo sfondo, due irriducibili che la diaspora democristiana e le traversie giudiziarie hanno diviso, accomunato e distinto ancora. Medici entrambi. Uno, Totò Cuffaro da Raffadali, condannato, interdetto e riabilitato, ma indisponibile alla corsa in proprio, fa il kingmaker della nuova Dc. Cerca i suoi, in giro con il Galton tra i neosalviniani siculi. L’altro, Raffaele Lombardo, catanese, processato e assolto, corteggiato riluttante del centrodestra, con gli autonomisti, si incunea tra i meloniani di necessità, soffiando su un analogo fischietto da richiamo. Sostengono entrambi, in terra nera, Enrico Trantino, FdI, avvocato e figlio di Enzo, principe del Foro, in Parlamento per più di una trentina d’anni. Il suo nome ha il bollo di Ignazio La Russa da Paternò su delega della premier.

Cocente delusione per Valeria Sudano, onorevole leghista, nipote di Domenico, ex parlamentare centrista, scomparso qualche giorno fa, e compagna di vita e slalom del vicepresidente della Regione Luca Sammartino, l’acchiappavoti, ramo sanità privata, passato dall’Udc al Pd, da Renzi e da ultimo alla Lega. La deputata ha strappato i manifesti già affissi e ingoiato il dietrofront dopo ore concitate per trovare un ristoro di lungo corso alla rinuncia. Per intanto, ha un assessore designato, Andrea Guzzardi, imprenditore, settore integratori alimentari.

Per i Fratelli è questione di faccia e di sostanza. Catania è roccaforte. L’unico capoluogo e il più importante, in cui la vittoria appare a portata di mano. A differenza di Trapani, dove gli uomini dell’assessore regionale leghista Mimmo Turano appoggiano l’uscente di centrosinistra. E di Ragusa, dove la destra, ma anche i giallorossi sono divisi, mentre a Siracusa il Terzo polo è già in macerie: qui tenta il bis un calendiano contro un antagonista renziano.

Catania è la patria di Nello Musumeci, già presidente della Regione. Ha liberato la poltrona per il forzista, ex presidente del Senato, Renato Schifani, staccando un biglietto per Palazzo Chigi. Giusto il tempo di interrogarsi su cosa consistesse la delega sul Mare, per barattare la grisaglia con il pullover blu da protettore civile nella martoriata Emilia-Romagna.

Con FdI alla guida del Paese, la corazzata berlusconiana del 61 a 0, firmato nel 2001 da un ormai esiliato Gianfranco Miccicché, è un’agguerrita falange con alla testa l’ex seconda carica dello Stato, costretto a difendere a suon di accordi quel che gli resta del feudo. Un podere conteso e contendibile. Bersagliato dal fuoco amico, pur gonfiando il petto da generale, Schifani è corso a intestarsi la stretta su Trantino. Ha rimediato la prenotazione di una poltrona assessoriale. In attesa che i maggiorenti catanesi Marco Falcone, assessore all’Economia - fresco di bocciatura in Consiglio dei ministri della finanziaria regionale - e il deputato regionale Nicola D’Agostino misurino ai seggi il peso delle rispettive influenze, Schifani ci ha scritto con il pennarello il nome del suo fedelissimo Marcello Caruso, commissario di Fi e capo della segreteria tecnica di palazzo d'Orleans.

Qui, nel laboratorio di geometrie variabili che si guadagnano il rango di paradigmi nazionali, l’ex popolare, poi sottosegretario forzista, quindi renziano e ora deputato azionista, Giuseppe Castiglione, ras del voto - e genero di Pino Firrarello, big dall’analoga traiettoria e oggi sindaco di Bronte - ha sistemato i suoi, ma non il simbolo, con Trantino. E Carlo Calenda – ha documentato La Sicilia – davanti a un caffè in piazza Duomo, ha benedetto l’alleanza.

Del resto, non che Trantino sia proprio un debuttante. È stato assessore ai Lavori pubblici nella accidentata giunta di Salvo Pogliese. Il sindaco, prima forzista, poi FdI, a fine 2018 deliberò il dissesto dinanzi al buco di 1,6 miliardi accumulato dal Comune in precedenza. Nel 2020 fu sospeso per effetto della legge Severino e poi riammesso in attesa della Corte costituzionale. Aveva rimediato una condanna a 4 anni e 3 mesi per indebiti rimborsi ottenuti da deputato regionale del Pdl. Quando la Consulta gli bocciò il ricorso provò a resistere ma a luglio 2022 diede le dimissioni in tempo per farsi eleggere al Senato. Il 3 maggio la condanna, sia pure dimezzata, 2 anni e 3 mesi, gli è stata confermata. Intanto con Trantino ha indicato il fedelissimo Sergio Parisi, già assessore allo Sport.

Nell’aprile scorso, l’inchiesta che ha terremotato la Sanità catanese aveva gelato gli entusiasmi di Pippo Arcidiacono, FdI, cardiologo dell’ospedale Garibaldi che avrebbe voluto provarci e ha poi appoggiato Trantino. È finito ai domiciliari, mentre nella stessa inchiesta Ruggero Razza, FdI, l’ex assessore regionale alla Sanità di Musumeci, imputato per i numeri dei morti Covid da «spalmare», altro nome in circolo nel pre-Trantino, è finito indagato insieme con l’ex collega, l’autonomista Antonio Scavone.

Il suo leader, Raffaele Lombardo, preferisce per adesso starsene dietro le quinte. In famiglia è operativo il nipote Giuseppe “Peppe” Lombardo prima assessore a Catania e poi deputato regionale. Prima di lui aveva schierato il figlio Salvatore “Toti” e il fratello Angelo. Lombardo guarda incuriosito anche a Calenda ma intanto, accanto a Trantino ha confermato l’uscente Alessandro Porto. Totò Cuffaro, più esuberante, aveva scelto Sudano «la più democristiana in campo» ma guardandosi sempre intorno, poi anche lui ha puntato su Trantino con l’avvocato Alessandro Chisari nell’eventuale giunta.

La catastrofe dei conti di Palazzo degli elefanti ha bloccato quasi sul nascere la rivincita agognata da Enzo Bianco, l’ex sindaco ora Pd. Si era già fatto avanti alla testa di una coalizione civica, quando anche in appello la Corte dei conti gli ha confermato l’incandidabilità per 10 anni e un risarcimento di poco meno di 40 mila euro. Lesto, ha approntato la mossa del Gattopardo e al primo posto della sua lista ha messo la figlia, benedetta dall’alfabeto, sostiene lui. Poi l’ha acquartierata sul fronte del centrosinistra che ha in Maurizio Caserta, docente universitario di Economia, l’uomo nuovo che Pd, Verdi-Sinistra italiana e movimenti cercavano da tempo.

Su Caserta convergono qui i Cinque Stelle. E in squadra con Caserta giocano per un posto da assessori l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo che gli uomini di Conte volevano proporre come sindaca, giocandosi un jackpot sui 130 mila percettori di reddito di cittadinanza e Gianina Ciancio, già deputata regionale.

I movimenti hanno il commercialista Niccolò Notarbartolo, già consigliere comunale uscito polemicamente dal Pd durante l’era Bianco. I dem pescano nella società civile con Maurizio Spina (ricercatore universitario di pianificazione urbanistica) e l’attore e attivista Lgbt Luigi Tabita. Con Caserta si è schierato Riccardo Tomasello, presidente del comitato dei festeggiamenti per la festa di Sant’Agata, uno degli altri aspiranti sindaco. Va da solo Cateno De Luca, il funambolico patron di Sud chiama Nord che ha come portavoce l’ex ministra M5S Laura Castelli, in lista l’ex commissario al Comune Federico Portoghese e come candidato Gabriele Savoca. In solitaria anche Lanfranco Zappalà, Giuseppe Lipera, penalista, che annunciò la candidatura di Fabrizio Corona, il re dei paparazzi poi uscito di scena per via di un’interdizione. E ancora Vincenzo Drago del Psdi; e Giuseppe Giuffrida, sostenuto dall’ex pm Antonio Ingroia.

In pieno clima elettorale anche un valzer dell’addio: il più rumoroso quello di Caterina Chinnici, l’europarlamentare passata dal Pd a Forza Italia. Meno clamoroso, ma gravido di aspettative, personali, quello del grillino Giancarlo Cancelleri che in poche settimane ha oscillato tra «daremo un’alternativa a Catania», un no a Bianco, un ammiccamento a Cuffaro e l’abbraccio a Schifani: «In Forza Italia una famiglia di valori». Dopotutto la famiglia puoi anche sceglierla. Soprattutto se non mette limiti ai mandati. Ilaria Paolillo, guida del partito Animalista italiano che a Catania è con Caserta e nella vicina Gravina a destra. Non dovrà scegliere subito il nodo gaberiano. E per gli animali questo e altro.