Politica

Le mani della Destra sul cinema: a chi il potere? A noi!

di Gloria Riva e Carlo Tecce   4 agosto 2023

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Dal caso del Centro Sperimentale a Cinecittà passando per le nomine della Biennale di Venezia, il governo è impegnato in un’occupazione sistematica dei posti di comando. E in una regressione dei basilari presupposti di indipendenza

La notizia più sottovalutata in questi nove mesi di governo di destra è che il governo di destra, intestato senza indugi a Giorgia Meloni e però con una vasta koinè spirituale, vuole offrire un modello culturale agli italiani per smuovere antiche convinzioni e diffidenze, pensano loro. In attesa di capire quale modello culturale vogliano offrire o per meglio dire, imporre, il governo è impegnato in un’occupazione sistematica dei posti di comando e in una regressione dei basilari presupposti di indipendenza, con una particolare predilezione per l’audiovisivo - dove ogni impresa è un compromesso fra cronaca e finzione - e per la sua più alta manifestazione: il cinema. Ovvero il Centro sperimentale di Cinematografia, la Biennale di Venezia con le sue arti, l’Istituto Luce di Cinecittà.

La notizia più sottovalutata in questi nove mesi di governo di destra è che il governo di destra, intestato senza indugi a Giorgia Meloni e però con una vasta koinè spirituale, vuole offrire un modello culturale agli italiani per smuovere antiche convinzioni e diffidenze, pensano loro. In attesa di capire quale modello culturale vogliano offrire o per meglio dire, imporre, il governo è impegnato in un’occupazione sistematica dei posti di comando e in una regressione dei basilari presupposti di indipendenza, con una particolare predilezione per l’audiovisivo - dove ogni impresa è un compromesso fra cronaca e finzione - e per la sua più alta manifestazione: il cinema. Ovvero il Centro sperimentale di Cinematografia, la Biennale di Venezia con le sue arti, l’Istituto Luce di Cinecittà.

Il “soggetto attuatore” di cotanto programma, per protocollo, dovrebbe essere Gennaro Sangiuliano, il ministro della Cultura, ma attribuire un disegno così articolato e politicamente stratificato, e impregnato di sentimenti e risentimenti, a un mite navigatore come Sangiuliano sarebbe eccessivo, nonché irriguardoso.

Questa è una fase luculliana che si ripete con i governi di qualunque targa e lo si è visto di recente con i Cinque Stelle durante il governo di Giuseppe Conte versione gialloverde e i leghisti alleati. L’ex sottosegretario pentastellato Stefano Buffagni, che per un breve periodo ha maneggiato quel tipo di potere romano che Gianni Letta esercita da trent’anni, per l’appunto, sublimò questa fase luculliana richiamandosi agli stereotipi della Prima Repubblica: «Noi abbiamo più poltrone che culi». La carenza di materia umana li accomuna ai Fratelli d’Italia, però con una sostanziale differenza: il governo Meloni, le poltrone, non le distribuisce a caso e per caso, pretende quella fedeltà che in politica è un concetto di valore opposto alla lealtà.

Ha scritto il regista Nanni Moretti: «La violenza e la rozzezza con cui il governo ha fatto fuori la dirigenza del Centro Sperimentale di Cinematografia. Del resto, è la destra italiana, questo è il suo ceto politico e giornalistico».

I dispetti al Centro Sperimentale sono iniziati mesi fa, come dimostra il bilancio preventivo del 2023, che serve a prevedere il budget a disposizione per la formazione nell’anno corrente: alla voce contributi statali, la presidente Marta Donzelli indica zero a fronte dei 2,050 milioni di euro elargiti dal governo Draghi l’anno precedente. Un ammanco tutt’altro che irrilevante, praticamente un ottavo delle risorse a disposizione del Centro. L’obiettivo, però, nei piani dell’attuale governo non è soffocare l’ente. Né Meloni né Sangiuliano o tantomeno la viceministra leghista Lucia Borgonzoni, che pure si agita parecchio per difendere la sua quota parte, hanno invaso il Centro Sperimentale di Cinematografia con vagonate di lanzichenecchi che sono i protagonisti di quest’estate, ma hanno riformato l’intelaiatura giuridica del Centro e si sono spinti fino a dove, e non è un riflesso sinistrorso, neanche Benito Mussolini e Galeazzo Ciano osarono nel 1935 quando lo fondarono.

Il governo non si limiterà più a eleggere i componenti del Consiglio di Amministrazione, ma si spingerà a scegliere anche quelli del Comitato Scientifico. Il Cda dimissionario, del resto, era abitato da pericolosi comunisti del calibro di Marta Donzelli, il compianto Andrea Purgatori, l’attrice Cristiana Capotondi e l’avvocato Guendalina Ponti. Così facendo viene meno quella barriera igienica che teneva la politica distante dal Centro.

D’ora in poi il Comitato Scientifico sarà lottizzato dal governo che designerà il presidente, mentre i componenti saranno nominati dal ministero della Cultura e uno ciascuno per i ministeri dell’Economia, dell’Istruzione, dell’Università. Per guidare il Centro, da settimane, va avanti il ballottaggio tra Pupi Avati e Giancarlo Giannini.

Memori di Buffagni, l’organico culturale di Meloni aveva sin dalla campagna elettorale due fantasisti che certamente avrebbe schierato per le competizioni migliori: Alessandro Giuli, che infatti da qualche mese dirige il museo di arte contemporanea Maxxi; e Pietrangelo Buttafuoco, che presto sarà nominato presidente della Biennale di Venezia, incarico che assumerà ufficialmente in primavera. Buttafuoco è un giornalista, scrittore, intellettuale di destra e non di un partito di destra. Ha una formazione politica chiara, mai rinnegata, e una identità complessa, meditata, non ostentata, spesso male interpretata.

Buttafuoco ha davvero amici estimatori di sinistra. Come l’ex magistrato e politico Luciano Violante, fra i saggi informali di Meloni, presidente della Fondazione Leonardo-Civiltà delle Macchine. Fu il comunista Peppino Caldarola, proprio con Buttafuoco, a riportare in vita la rivista Civiltà delle Macchine. Dicevamo, la nuova sfida di Buttafuoco sarà la Biennale di Venezia, tra le istituzioni culturali più note e prestigiose al mondo, che brilla soprattutto grazie alla settembrina Mostra del Cinema in laguna, il festival cinematografico più antico del mondo, luogo in cui si danno appuntamento le star mondiali. Starne al vertice non sarà un compito facile, se non altro perché la Biennale è reduce da un triennio di risultati economico-finanziari eccezionali, ottenuti dal presidente in scadenza Roberto Cicutto. È il fondatore di Mikado Film, Aura Film (con cui nell’88 vinse il Leone d'Oro per La Leggenda del santo bevitore di Ermanno Olmi) e, insieme a Nanni Moretti e altri, ha creato la Sacher Distribuzione, compagnia italiana che ha generato Palombella Rossa, Caro Diario, Il Caimano.

Può essere che Cicutto sia stato un presidente fortunato, grazie al desiderio di partecipazione agli eventi dal vivo che ha fatto registrare un record di presenze alla Biennale. Per intenderci, storicamente il bilancio della Biennale si chiudeva in passivo l’anno della mostra di Architettura e in attivo in quello dell’Esposizione d’Arte. Invece la mostra di Architettura del ’21 ha registrato un attivo di 6,7 milioni di euro rispetto a una previsione in perdita di 2,5 milioni. Increduli persino gli amministratori della Biennale: «Non crediamo che questi risultati possano considerarsi come acquisiti per sempre. Per questo abbiamo costituito una riserva che metta al riparo la Fondazione da possibili difficoltà». Insomma Buttafuoco parte avvantaggiato con le ricchezze accumulate da Cicutto, che è espressione di quel “giro” della cinematografia messo all'indice dal governo. Un mondo che, allargato agli sponsor, ha sostenuto sempre la Biennale anche durante i mesi della pandemia. Sarà interessante capire come si posizionerà quel “giro” col cambio forzato di colore politico: collaborazione oppure ostruzionismo?

Del resto Buttafuoco, sprovvisto di qualità dirigenziali necessarie per una struttura societaria come la Biennale, è però la sintesi di ciò che per Meloni e il suo governo è cultura. A Buttafuoco il dovere di esplicitarlo da una postazione di prestigio.

I vertici di Cinecittà, invece, non sono mai stati in discussione. La presidente Chiara Sbarigia fu supportata presso l’allora ministro Dario Franceschini dalla leghista Lucia Borgonzoni. L’amministratore delegato, Nicola Maccanico, selezionato dal governo di Mario Draghi e proveniente dal settore privato, gode di stima trasversale e dell’inequivocabile successo dei risultati: ha infiocchettato il 2022 con 39 milioni di euro di fatturato, più che raddoppiando il giro d'affari e, con un anno d’anticipo sulle previsioni, ha riportato Cinecittà in utile per 1,8 milioni. Il rilancio è merito degli investimenti fatti sui teatri e della capacità di attrarre a Roma produttori internazionali come Prime Video, Netflix e Sky. Per Maccanico, però, la prova più ardua viene ora che dovrà consolidare i numeri in un mercato, quello del cinema, esposto alle flessioni cicliche: la sua squadra è a caccia di nuovi contratti con altre case di produzione.

Cinecittà ha la sicurezza di accordi preziosi con Sky, Netflix, Peacock, The Apartment Pictures (che produrrà Queer di Luca Guadagnino) ed è pronta a correre realizzando cinque nuovi teatri e ristrutturandone altri quattro con i 220 milioni messi a disposizione del Pnrr. E ha superato indenne la revisione del governo Meloni: nella versione draghiana del Piano nazionale di ripresa e resilienza, i milioni per Cinecittà erano 262 perché includevano l’ampliamento degli studi all’interno dell’area di Torre Spaccata di proprietà di Cassa Depositi e Prestiti (coinvolta con una sua parte immobiliare di edilizia popolare). Questo capitolo Cassa Depositi e Prestiti è stato eliminato perché troppo stringenti erano i vincoli archeologici su quel terreno, allo stesso modo è evaporata l’ipotesi di far entrare Cdp nell'azionariato di Cinecittà. Arriva la destra sullo schermo. Buona visione.

Aggiornamento del 9 agosto 2023
Centro sperimentale, la precisazione sul budget