Crimine

Il grande business dei criptofonini, lo strumento preferito dei narcotrafficanti

di Rosita Rijtano   21 marzo 2023

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Per gestire i loro affari internazionali, le mafie utilizzano tecnologie che rendono impossibile (o quasi) intercettare chat, email e telefonate. Affiliando esperti informatici

Le mafie non possono più farne a meno. In gergo si chiamano criptofonini: si tratta di piattaforme che promettono chat, telefonate ed email criptate, cioè comprensibili solo a emittente e destinatario, impossibili da intercettare. Strumenti perfetti per organizzare il traffico internazionale di droga e discutere di come riciclare i soldi guadagnati. Gli uomini di Raffaele Imperiale, narcos ritenuto vicino al clan camorristico degli Scissionisti, li hanno usati per far viaggiare tonnellate di cocaina dal Sud America all’Europa, Italia inclusa. Ancora prima, era stata la ‘ndrangheta a dotare i propri sodali di BlackBerry modificati ad hoc. Per capire l’ossessione delle mafie per i criptofonini basta analizzare le relazioni della Direzione investigativa antimafia, dove il termine compare per la prima volta nel 2019.

L’ultima società che ha conquistato la fiducia dei narcotrafficanti si chiama No.1 Business Communication (1Bc). Sul suo sito si definisce leader mondiale nella fornitura di tecnologie per rendere sicure le comunicazioni telefoniche. Vanta di avere come clienti celebrità, aziende e persino istituzioni tra cui il ministero della Difesa austriaco. Ma mente. Quest’ultimo, contattato da L’Espresso, nega qualsiasi relazione commerciale: «La compagnia sta pubblicizzando il falso, chiederemo che venga tolto ogni riferimento a noi». Non è la sola anomalia nel curriculum di 1Bc. Nata a Malta nel 2016, la ditta ha avuto due dirigenti uniti da affari poco trasparenti: entrambi sono menzionati nei “Paradise papers”, i documenti resi pubblici dall’International consortium of investigative journalists che tracciano gli investimenti finanziari nei paradisi fiscali. Risultano tra gli azionisti di un’altra società, con sede sempre a Malta e finalità ignote: la PrivePay Holdings Limited. No.1Bc è la loro ultima scommessa.

L’impresa ha visto i criminali consacrare il proprio prodotto – che consiste in un telefono, una sim e un piccolo dispositivo – due anni fa. Bartolo Bruzzaniti, esponente della ‘ndrangheta oggi accusato di essere stato il punto di riferimento di Imperiale per far approdare la droga nel porto di Gioia Tauro (Reggio Calabria), ne parla al fratello Antonio a marzo 2021: «Serve urgente». Dello stesso parere un giovane narcos albanese al lavoro a Milano che a febbraio 2021 decide di farne scorta, comprando otto 1Bc al prezzo di 15 mila euro. Eppure, già nel bilancio del 2018, l’ultimo disponibile, l’azienda registrava un fatturato di oltre un milione e 200 mila euro.

Negli ultimi anni i servizi che permettono di aumentare il livello di protezione delle comunicazioni via smartphone sono molto richiesti dalle reti criminali. Perché la compravendita di stupefacenti a livello globale non può fare a meno di strumenti che consentano di scambiare messaggi da un capo all’altro del mondo e che, al tempo stesso, limitino il più possibile il rischio di essere controllati dalle polizie. «I criptofonini sono meno vulnerabili alle intercettazioni perché vengono modificati in modo tale da creare un ambiente protetto», spiega il tecnico forense Paolo Dal Checco: «La rimozione di tutte le app e l’uso di sim proprietarie fa sì che i device comunichino solo tra loro e, di conseguenza, siano più difficili da attaccare».

1Bc non è la sola società del genere attiva al momento, mette in guardia il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Giovanni Melillo: «Ne nasce quasi una al giorno. I grandi cartelli criminali cercano di perfezionare i dispositivi che sfruttano per i propri traffici in maniera quasi ossessiva. Per riuscirci, si servono di soggetti con competenze informatiche che sono ormai diventati una componente essenziale dell’organizzazione. Hanno il compito di garantirne l’impunità, tutelandola dalle intercettazioni, ma anche capacità offensive». Un esempio è il ruolo «strategico» che l’informatico Alessandro Telich, condannato in appello a otto anni di carcere, ha avuto negli affari di Fabrizio Piscitelli: il capo ultras della Lazio ucciso a Roma il 7 agosto 2019 che trafficava droga con ‘ndrangheta, camorra e clan albanesi. Detto “er tavoletta”, Telich era il fondatore di Imperial Eagle, una società con sede a Dubai che commercializzava Kline: applicazione di messaggistica criptata, tutt’oggi disponibile sul mercato.

Fino a poco tempo fa, nel nostro Paese le compagnie leader del settore erano EncroChat e Sky Ecc. Nessuna delle due ha garantito ai criminali la riservatezza promessa, aprendo invece alle forze dell’ordine una finestra sul mercato globale degli stupefacenti. La violazione, da parte di un pool di polizie europee, di EncroChat (nel 2020) e di Sky Ecc (nel 2021) ha permesso di avere un quadro del regno di Imperiale. Sempre Sky Ecc è stata la chiave per arrestare il boss della ‘ndrangheta Rocco Morabito, a lungo il secondo latitante più ricercato d’Italia dopo Matteo Messina Denaro. Secondo quanto ricostruito da lavialibera – rivista di Libera e Gruppo Abele – gli investigatori l’hanno individuato grazie alle foto delle spiagge del Brasile che inviava ai parenti. Da qui la necessità di riorganizzarsi con 1Bc, appunto. La particolarità, sostiene la società, è che cifratura e decifratura delle comunicazioni non avvengono tramite server, ma attraverso le sim degli utenti. Per messaggi a prova di polizie. Ci riuscirà? Per ora sembra di sì. Mattia Epifani, un consulente informatico che ha analizzato diversi telefoni 1Bc, ammette: «Non sono riuscito a leggere nulla».