Parigi

Riforma delle pensioni: in Francia esplode la rabbia

di Gloria Riva   17 marzo 2023

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Il nuovo sistema pensionistico ricorda molto la Riforma Fornero, digerita dagli italiani con molte meno proteste di piazza ormai 11 anni fa. Ma all’epoca l’Italia rischiava il default finanziario

Cariche della polizia, 120 fermi. Il bilancio degli scontri è ancora provvisorio e destinato a crescere, dal momento che non si placa la rabbia dei francesi per l'imposizione dall'alto della riforma delle pensioni, che mira ad alzare l'età pensionabile da 62 a 64 anni. Una riforma annunciata da tempo e altrettanto contestata dalla popolazione, che è scesa su tutte le furie quando nella serata di giovedì il presidente Emmanuel Macron ha fatto leva sull'articolo 49.3 che permette l'approvazione di una legge esautorando il Parlamento.

Per dare il via all'arma costituzionale è stato convocato un consiglio dei ministri straordinario all'Eliseo che sancisce un passaggio in forza sul Parlamento: a Parigi i primi manifestati hanno cominciato a riunirsi vicino alla sede dell'Assemblea nazionale, che si trova a Palais Bourbon. Poi nel corso della giornata la folla è cresciuta, al punto da raggiungere le migliaia di persone che si sono dirette in un corteo improvvisato a Place de la Concorde, nei pressi dell'Eliseo. Qui, durante la notte la polizia ha caricato più volte i manifestanti e usato gli idranti per disperdere la folla. In serata le manifestazioni pacifiche sono degenerate in incendio di automobili, vetrine fracassate e devastazioni di ogni tipo, al punto che 120 persone sono state fermate dalla polizia per le violenze.

La scelta del governo di accorciare i tempi della riforma coincidono con quelli che il presidente Macron ha giudicato «rischi finanziari ed economici troppo grandi» in caso di rigetto della legge in aula. Mancano ancora alcune formalità, lunedì le opposizioni potranno presentare le mozioni di sfiducia al testo, ma la strada sembra segnata: anche la Francia avrà una riforma delle Pensioni lacrime e sangue, che sembra simile a quella digerita dagli italiani nel 2012, la Riforma Fornero. La differenza è che gli italiani non hanno messo a ferro e fuoco il paese, forse perché all'epoca – c’era il governo Monti – l’Italia era a un passo dalla catastrofe finanziaria e dalla Troika, dopo i dissestati conti delle politiche dei governi Berlusconi di centro destra. 

Ma andiamo con ordine. La modifica più contestata riguarda l’innalzamento dell’età minima di pensionamento, che passa da 62 a 64 anni ma in modo assolutamente graduale perché la previsione è di raggiungere l'obiettivo in sette anni, cioè nel 2030. A prima vista, verrebbe da dire che la riforma francese è meno stringente rispetto a quella italiana, perché da noi si accede alla pensione di vecchia con almeno 67 anni di età e 20 anni di contributi. Tuttavia ogni anni la legge di Bilancio stanza parecchi quattrini per ridurre quel vincolo e, per esempio, nel 2023, con l'introduzione di Quota 103, i lavoratori di 62 anni di età e 41 anni di contribuzione possono andare in pensione.

Nel dettaglio la riforma francese renderà il sistema di accesso alla pensione più rigido e meno generoso di quello italiano specialmente dal punto di vista dell'entità dell'assegno mensile. I francesi potranno andare in pensione a 64 anni, ma con una forte penalizzazione economica, mentre solo arrivando a 65 anni e 40 anni di contributi sarà possibile ottenere la contribuzione piena. La riforma francese punta a incentivare economicamente, attraverso degli stanziamenti finanziari, chi deciderà di restare nel mercato del lavoro oltre i 64-65 anni. E questo è un altro punto che ha fatto infuriare la popolazione e la gauche seduta in Parlamento, che fanno notare come questo meccanismo favorisca e arricchisca i colletti bianchi, i top manager e chi svolge mestieri poco faticosi, non alienanti e usuranti, che possono permettersi di proseguire ben oltre l’età pensionabile. È un meccanismo introdotto anche nella Riforma Fornero, che era stato limato – nei più distorsivi effetti sociali – dalle quote per i lavori usuranti, che hanno diritto a un pensionamento anticipato, con un calcolo pieno dell'assegno pensionistico.

A livello politico e sociale, la scelta dell'esecutivo viene tanto contrastata perché, come accadeva in Italia fino alla riforma Dini e al radicale cambio di calcolo della pensione – da retributivo a contributivo –, la bassa età di pensionamento viene ancora percepita come un diritto del cittadino, al di là delle implicazioni finanziarie e degli effetti a lungo termine sulle generazioni successive. Gli italiani, invece, hanno da tempo smesso di contare sulla pensione, con l’effetto boomerang di tanti giovani che – sfiduciati – accettano lavori di part time involontario o retribuzioni parzialmente in nero, senza capire che questo significa avere futuri assegni pensionistici da miseria.

A irrigidire i vincoli nell'accesso alla pensione francese c'è anche l'innalzamento dell'importo minimo della pensione: 1.200 euro. Significa che, chi aspira alla pensione, deve assicurarsi di aver accantonato sufficiente denaro nella propria cassa previdenziale per arrivare a percepire almeno quella cifra, altrimenti dovrà attendere attendere. Funziona così anche in Italia: da noi, una volta raggiunta l'età minima per la pensione e almeno 20 anni di contributi, è necessario assicurarsi un assegno minimo pensionistico di almeno 2,8 volte l'assegno sociale, cioè 1.310 euro. Chi non raggiunge quella cifra deve attendere i 68 anni e assicurarsi un assegno minimo di 710 euro. In alternativa è necessario continuare a lavorare oltre i settant'anni e puntare al pieno requisito anagrafico per andare in pensione.

Un altro tasto dolente toccato dalla riforma francese, che invece in Italia non è stato minimamente considerato, perché avrebbe implicato notevoli contestazioni di potenti categorie, è quello del riordino di casse speciali da troppo tempo fuori controllo. A queste casse appartengono un quarto del totale dei pensionati, che attingono mensilmente a silos totalmente sbilanciati sul fronte delle uscite. Fra questi ci sono i dipendenti del settore pubblico, delle industrie del gas e dell’elettricità, delle ferrovie dello stato e della Banca nazionale di Francia. L'obiettivo, in questo caso, è eliminare i privilegi di cui godono questi pensionati.

Sul fronte degli anni contributivi, l'obiettivo è quello di introdurre un minimo di età contributiva a 43 anni. Si tratta indubbiamente di una asticella parecchio alta, se paragonata con quella italiana, in cui il minimo contributivo si ferma a vent'anni.

In base ai dati dell'Ageing Working Group la spesa per le pensioni in rapporto al Pil è pari al 14,8 per cento in Francia e al 15,4 in Italia. Mentre il tasso di sostituzione, cioè l'entità economica dell'assegno pensionistico in rapporto all'ultimo stipendio percepito, è del 60 per cento in Francia e del 74,6 per cento in Italia. Anche sotto il profilo delle dinamiche di spesa i due sistemi sono piuttosto simili: l'Italia arriverò a spendere il 18 per cento del Pil per le pensioni nel 2040, ma a ridurne il peso al 14 per cento nel 2060, mentre la Francia punta a spendere il 15 per cento del Pil per le pensioni nel 2040 e scendere al 13,4 per cento nel 2060.

A dirla tutta, in Italia la Riforma Fornero, grazie al sistema delle quote, non è mai entrata davvero in vigore e ogni anno si verificano sforamenti rispetto alle previsioni di risparmio. Chissà se il governo francese – questo o il prossimo, dacché le rivolte di piazza potrebbero sfociare in una caduta di quello in carica - una volta approvata la riforma dovrà correre ai ripari con correttivi annuali per sedare la rabbia della popolazione, con altrettanto dispendio di denaro pubblico.