Il marketing dei nuovi leader

I Cinque stelle in crisi e senza capo. Sarà Fedez a salvarli

di Susanna Turco   7 maggio 2021

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Beppe Grillo è scomparso, Giuseppe Conte latita e i giudici non riconoscono il ruolo di Vito Crimi alla guida del partito. Il Movimento è in disarmo, ma la cultura grillina trionfa. E il rapper milanese è il suo profeta

Stupefacente è il panorama nell’insieme, la razionalità della storia: il partito a Cinque stelle forse è morto, di certo non si sente bene; la sua cultura, al contrario, trionfa. Il grillo-populismo risorge e detta l’agenda. Nella figura di Federico Leonardo Lucia in arte Fedez, rapper trentunenne che sventolando la battaglia del ddl Zan contro l’omotransfobia si è conquistato l’attenzione generale con grandi classici del grillismo: parlamento fannullone, impegnato in faccende secondarie quando non nei vituperati «vitalizi» (esisteranno per sempre anche se non esistono più); proteste contro la censura stolida del «Sistema»; e infine, classico dei classici, «fuori i partiti dalla Rai».

Una sorsata d’acqua fresca, per il grillismo agonizzante, che infatti si è subito ringalluzzito, scordando quanto fatto come partito di governo negli ultimi tre anni (nomine dei vertici Rai e lottizzazioni conseguenti), ma anche in generale come Movimento che nei Palazzi ci sta da un pezzo, e una sua impronta pesante l’ha messa, anche rispetto al grado di controllo dei media. Occasione strepitosa, questa di Fedez, per status pieni di verve, da parte ad esempio di Giuseppe Conte, l’uomo che oggi vuole la riforma della Rai ma da premier, con la scusa del Covid, aveva sbarrato il passo a «operatori esterni» a Palazzo Chigi disponendo che «tutte le immagini vengano realizzate direttamente dagli uffici della presidenza del Consiglio»; per non dire dell’allegria impaziente che si è impadronita di uno come Alessandro Di Battista, non impastato col potere, pronto quindi a chiedere rotolamenti di teste.

Un afflato di vita ha percorso l’intera congerie, proprio quando Davide Casaleggio dipingeva di rosso le stelle del blog omonimo, incrostandolo dei tecnicismi da Associazione Rousseau; nei giorni in cui Beppe Grillo spariva dai radar, avviluppato nella pozza dei guai in cui si è ficcato col video in difesa del figlio Ciro. Con l’Avvocato del popolo intrappolato in un punto indistinto (ma online) tra le grane M5S e l’amicizia con Bettini. E Luigi Di Maio, sempre più ministro, ormai nell’immaginario eternamente intento ad incontrare un suo omologo, in punti dell’orbe a scelta.


Ecco al centro, su tutti, l’improvviso e transeunte dominio di quello che è un frutto di quell’universo, di quelle stagioni, di quelle ispirazioni. Fedez da Buccinasco, periferia di Milano, oggi superstar dei social, del partito-azienda detto Ferragnez con la moglie Chiara Ferragni (insieme fanno 36,5 milioni di follower).

Fedez che è, a osservarlo, l’eroe eponimo di un grillismo - contenitore di populismo - capace di sopravvivere a se stesso, rinnovarsi, evolvere. Imbracciare persino una battaglia anche divisiva, per una volta (il ddl Zan) ma senza inchiodarsi a una definizione, come del resto M5S ha mostrato essere la sua specialità in questi anni di governi opposti e complementari. Tanti hanno ricordato nei giorni scorsi come Fedez abbia scritto nel 2014 il cosiddetto “inno” per i Cinque Stelle (con un passaggio pesante su Giorgio Napolitano, il cui vituperio era di gran moda nel grillismo dell’epoca), ma quella è in qualche modo solo la punta dell’iceberg: rispetto a quel mondo Fedez è molto di più. In modo non del tutto organico, ma affine, gli è cresciuto accanto, fino a confondersi. Non solo perché il rapper ha firmato la prefazione dell’ultimo libro pubblicato da Gianroberto Casaleggio (Veni, vidi, web). Ma perché c’era, sin da subito, sin dal primo V day: Fedez aveva 17 anni, voleva un Parlamento senza condannati, stava in piazza (e «fu incredibile», raccontò anni fa in una intervista al Fatto). Era il 2007 e lui, di lì in poi, avrebbe votato solo M5S. Almeno fino al 2018: «Adesso, probabilmente, non voterei», ha aggiornato la pratica nel dicembre 2019, chiarendo in sostanza che il grillismo degli esordi era altra cosa dai governi giallo-verdi e giallo -rossi. Il che, a suo modo, è un altro grande classico della militanza pentastellata, il prequel per risorgere tuonando: fuori i partiti dalla Rai.


Come in tutti i processi evolutivi, Fedez infatti non è tanto espressione secca del grillismo, uomo al quale mettere la spilletta con le stelle, ma è una sua viva incarnazione: l’ha portato infatti un pezzo più avanti, l’ha spinto più in là. Anche restandone fuori: amico, non a caso, di Alessandro Di Battista, il capopopolo che rinunciò al secondo mandato, peraltro tra i pentastellati il più simile a Fedez, quanto a gestione dei social, con famiglia al seguito neonati compresi.


Miliardario come Grillo, appassionato di politica come Grillo, pieno di follower come Grillo, il rapper non ha neanche bisogno della discesa in politica che ha fatto Grillo, perché politica la fa già nelle stories di Instagram. Ed è magari per questa via che dall’«uno vale uno» dei Meet up, dai post fatti dai parlamentari-portavoce si passerà alla moral suasion dell’influencer. Con uno scivolamento ulteriore del modello su cui Casaleggio ha costruito M5S, più che con un suo ribaltamento. L’impalcatura infatti è conseguente a quella che il fondatore piantò sulla necessità di «imparare a canalizzare il sentiment della rete e usarlo», perché «è la rete che decide la reputazione delle persone». Ecco Fedez, in questo, è perfettamente casaleggiano, un mondo nel quale si è del resto trovato a suo agio: «Siamo diversi, ma in quel posto ho trovato voglia di fare, trasparenza, ho respirato onestà», ha raccontato il rapper a proposito del suo ingresso alla Casaleggio Associati.


È la rete che fa tutto. Il resto non conta. «Per vendere musica quanto conta la tv? Zero», è la risposta di Fedez che spiega alla perfezione come il rapper si sia potuto permettere con la Rai una polemica che ad altri può costare tanto, quasi tutto (un esempio su tutti: Andrea Rivera, che nel 2007 dal palco del primo maggio attaccò il Vaticano per la mancata concessione dei funerali a Piergiorgio Welby, con i benefici di carriera del tutto evidenti: la sparizione). Una posizione ancora più chiara, se si pensa che Fedez oltre che cantante è startupper, imprenditore, consulente: «Convincere gli investitori mi dà brividi tanto quanto stare sul palco»; «il marketing è arte tanto quanto la musica»; le «campagne che organizzo da consulente sono motivo d’orgoglio tanto quanto fare un disco di successo», sono alcune delle risposte illuminanti nell’intervista con l’imprenditore digitale Marco Montemagno.

Tanto quanto: la musica, il marketing, la persona, il personaggio. La vita h24 online, uno streaming permanente, nel quale è normale motivo d’orgoglio dare a Samsung la canzone creata per il primogenito, figurarsi rendere pubblica una telefonata registrata. E del resto sono proprio i grillini ad aver introdotto in politica l’ossessione della registrazione.


Prima di adesso, Fedez era saltato fuori nel mondo pentastellato in un altro periodo di crisi di Grillo, quello a cavallo tra il 2014 e il 2015. Ai tempi del flop alle europee, del direttorio, del «passo di lato» da parte del comico genovese. Nella notte bianca della legalità, il 24 gennaio 2015 - Grillo assente - Fedez salì sul palco dei Cinque Stelle, a Roma: anche allora criticò Salvini e la Lega (l’ha sempre fatto, anche se i più puntuti ricordano di come all’epoca dei gialloverdi si sia guardato bene dallo schierarsi con Roberto Saviano che attaccava il «ministro della malavita»), anche allora si presentò come uno che incarnava la «cittadinanza attiva», allergico ai simboli e alle bandiere, ma molto preciso nel citare, tra i social, Instagram e non Facebook.


«In questo momento funziona solo Instagram, mentre Facebook è diventata la cloaca del Paese», avrebbe detto anni dopo, chiarendo che da consulente «faccio tutt’ora fatica a spiegare alle aziende come un’instagram story converta molto più di un post». Si tratta come è chiaro di uno specialista, che riprendeva la sua vita in diretta anche con Giulia, precedente a Chiara Ferragni (gli episodi si chiamavano “Zedef”) e vive la politica come «una grande serie tv». «C’è da dire che le ultime stagioni fanno cagare, però è una buona serie da guardare», e bisognerebbe «far capire ai giovani che la politica che è molto più interessante di come ci è stata dipinta», ha detto in una intervista di fine 2019 con Peter Gomez. Un orizzonte di riferimento abbastanza costante, anche quello: è a lui e Marco Travaglio che Fedez ha fatto leggere il suo intervento, alla vigilia del Primo maggio (aveva citato anche il direttore di Repubblica, poi si è corretto). «Amici» anche loro, come Dibba, che adesso torna a fare cucù dal blog delle stelle di Casaleggio, lungo la linea dell’orizzonte nella quale la fine tocca (di nuovo) l’inizio. Forse.