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Mattarella, il discorso di fine anno: "In Italia diritti minacciati, serve più partecipazione. Contro le guerre occorre la cultura della pace". L'appello ai giovani: "L'amore non è possesso”

Mattarella, il discorso di fine anno: "In Italia diritti minacciati, serve più partecipazione. Contro le guerre occorre la cultura della pace". L'appello ai giovani: "L'amore non è possesso”
(ansa)

Un discorso più amaro del solito quello con cui il capo dello Stato ha salutato gli italiani. Ma che poi finisce con una nota di speranza: “Uniti siamo forti”

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È come se Sergio Mattarella avvertisse una regressione. Una sfiducia nella democrazia, che induce a una minore partecipazione elettorale, una disillusione collettiva, una stanchezza, che hanno come conseguenza un arretramento nei diritti.

“Votare, partecipare alle scelte della comunità, è un diritto di libertà”, dice nel tradizionale discorso di Capodanno. Dipende da noi chi mandiamo al potere. Dipende da noi la qualità di una società. Non farlo, delegare, voltarsi dall’altra parte produce, a lungo andare, il lavoro povero, i femminicidi, gli affitti assassini chiesti agli studenti, la mancata parità tra uomo-donna, (“non solo sul lavoro anche nel carico delle responsabilità familiari”), le liste di attesa nella sanità, le periferie dimenticate dallo Stato piene di “risentimento”. È come dicesse: la Storia siamo noi, nessuno escluso.

Parla per sedici minuti, nella sala Tofanelli alla Vetrata, l’albero di Natale sullo sfondo. Tanto Paese reale, zero Palazzo. Nessun riferimento al governo Meloni. È il suo nono discorso. Forse il più amaro.

È colpito, come tutti, dalle troppe donne uccise. Una piaga italiana. Gli assassini sono spesso giovani. “Cari ragazzi, ve lo dico con parole semplici: l’amore non è egoismo, possesso, dominio, malinteso orgoglio. L’amore – quello vero – è ben più che rispetto: è dono, gratuità, sensibilità. Penso alla violenza verbale e alle espressioni di denigrazione e di odio che si presentano nella rete”.

Denuncia poi l’aggressività, il discorso pubblico intossicato, “la tendenza di identificare avversari o addirittura nemici”. Ammonisce ancora una volta – lo fa ogni anno - “il lavoro sottopagato”, quello, sovente, “non in linea con le proprie aspettative e con gli studi seguiti. Il lavoro, “a condizioni inique”, e “di scarsa sicurezza”, con “tante inammissibili vittime”. La disuguaglianza è una grande faglia sociale. “Le immani differenze di retribuzione tra pochi super privilegiati e tanti che vivono nel disagio”. Difende la sanità pubblica, “con liste d’attesa per visite ed esami, in tempi inaccettabilmente lunghi”. E poi la sicurezza della convivenza, che lo Stato deve garantire, anche contro il rischio di diffusione delle armi.

C’è il capitolo giovani, altro grande tema mattarelliano. “Si sentono fuori posto”, dice. “Disorientati, se non estranei a un mondo che non possono comprendere e di cui non condividono andamento e comportamenti”. Un disagio che nasce da un’incomprensione. “Il mondo disconosce le loro attese, debole nel contrastare una crisi ambientale sempre più minacciosa”. Oggi, in un’Italia invecchiata, con tassi di natalità bassissimi, “vi è ancora più bisogno dei giovani, delle loro speranze, della loro capacità di cogliere il nuovo”. Il diritto allo studio incontra nel concreto ostacoli. “A cominciare dai costi degli alloggio nelle grandi città universitarie, improponibili per la maggior parte delle famiglie”.

Quindi parla della Costituzione, la sua bussola. E quindi dei diritti. La parola chiave è riconoscere. “Significa che i diritti umani sono nati prima dello Stato. Ma, anche, che una democrazia si nutre, prima di tutto, della capacità di ascoltare. Occorre coraggio per ascoltare. E vedere – senza filtri – situazioni spesso ignorate, che ci pongono di fronte a una realtà a volte difficile da accettare e affrontare. Come quella di tante persone che vivono una condizione di estrema vulnerabilità e fragilità, rimasti isolati. In una società pervasa da quella cultura dello scarto, così efficacemente definita da Papa Francesco”.

I diritti quindi sono minacciati. Vale anche per gli anziani, che vanno ascoltati, “mentre il sistema assistenziale fatica a dar loro aiuto”.

E cita la sua visita a Cutro, dove pregò sulle tombe dei naufraghi, “spendersi per i diritti significa “non volgere lo sguardo altrove di fronte ai migranti”.

E’ stato un anno di guerre tremende. “La violenza delle guerre, e di quelle evocate e minacciate, le devastazioni che vediamo nell’Ucraina, invasa dalla Russia, per sottometterla; l’orribile ferocia terroristica del 7 ottobre scorso di Hamas contro centinaia di inermi bambini, donne, uomini, anziani d’Israele, ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità. La reazione del governo israeliano, con un’azione militare che provoca anche migliaia di vittime civili e costringe, a Gaza, moltitudini di persone ad abbandonare le proprie case, respinti da tutti”.

La guerra, ogni guerra, “genera odio”, avverte. Perciò precisa: “L’odio durerà moltiplicato per molto tempo dopo la fine dei conflitti. Il rischio concreto è di abituarsi a questo orrore. Alle morti di civili, donne, bambini. Come – sempre più spesso – accade nelle guerre. Alla tragica contabilità dei soldati uccisi. Reciprocamente presentata, menandone vanto. La guerra non nasce da sola. Non basterebbe neppure la spinta di tante armi, che ne sono lo strumento di morte. Così diffuse. Sempre più letali. Fonte di enormi guadagni. E’ indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace. Sappiamo che per porre fine alle guerre in corso non basta invocare la pace. Occorre che venga perseguita dalla volontà dei governi, anzitutto di quelli che hanno scatenato i conflitti”.

La pace è un metodo. Anche la pace però dipende da ciascuno di noi. Cosa vuol dirci con questi allarmi? Vi è la consapevolezza, del vecchio Capo dello Stato, che l’ordine mondiale, e quindi i nostri valori, rischiano di venir calpestati da questa lunga sequela di conflitti. Che le guerre recano con sé la fine delle democrazie.

Insomma, è come se avvertisse la fine del mondo così come lo abbiamo conosciuto finora, “un passaggio epocale”.

C’è poi uno specifico italiano, le istituzioni minacciate dall’indifferenza. “Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci. Con la partecipazione attiva alla vita civile. A partire dall’esercizio del diritto di voto. È il voto libero che decide. Non rispondere a un sondaggio, o stare sui social. Perché la democrazia è fatta di esercizio di libertà. Non dobbiamo farci vincere dalla rassegnazione o dall’indifferenza. Non dobbiamo chiuderci in noi stessi per timore che le impetuose novità che abbiamo davanti portino soltanto pericoli”. Votare è un diritto di libertà. Un diritto al futuro.

Così come lo è pagare le tasse. L’ha detto tante volte. Lo ripete in diretta televisiva. “L’evasione riduce, in grande misura, le risorse per la comune sicurezza sociale. E ritarda la rimozione del debito pubblico, che ostacola il nostro sviluppo”.

Mattarella stringe il dito con la mano mentre fissa la telecamera. E’ il segno della sua preoccupazione.

L’Italia ce la farà se rimane unita, ammonisce alla fine. Unità. Comunità. “L’unità della Repubblica è un modo di essere. Uniti siamo forti”. E quindi finisce con una nota di speranza.

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