Belle storie

Daniela Lourdes Falanga si è affrancata dal padre camorrista per affermare la sua vita

di Francesca Barra   21 marzo 2023

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All’anagrafe era Raffaele. Per conquistare l’identità femminile che le appartiene ha dovuto affrontare l’ostilità della famiglia. Soffrendo al punto di voler morire. Poi l’incontro con persone che la sostengono, l’inizio della transizione. E della felicità

Molti bambini non ricordano gli anni dell’asilo. Daniela ha tutto davanti agli occhi. Il grembiulino blu, con il quale era costretta a vestirsi, e quelli bianchi, candidi e attraenti, indossati invece dalle sue compagne. La fantasia regala infinite possibilità a chi sente di occupare il posto sbagliato nel mondo e così Daniela, che in quegli anni per tutti era ancora Raffaele, compensava con l’immaginazione. In quel mondo a parte che si era costruita sedeva accanto alle bambine, faceva i loro giochi, guardava i cartoni animati con protagoniste femminili.

Daniela Lourdes Falanga nasce a Torre Annunziata, figlia di un camorrista che non aveva mai sposato sua madre. «Mia madre aveva capito. Aveva compreso che non avrei ereditato da mio padre il carisma, la sua posizione economica e i suoi principi mafiosi. Mi picchiava, mi sputava addosso, mi insultava, con le offese che avrebbe rivolto agli omosessuali, scagliandosi contro quel mio femminile che intercettava e che non sapeva come gestire».

Il fine settimana, quando vedeva suo padre e l’altra famiglia, percepiva la loro distanza. Raffaele non era come i maschi che circolavano attorno a suo padre: non dipendeva da lui e in più si era arreso a non ricevere la sua approvazione, come necessita ogni figlio. «Volevo eliminarmi, morire, perché la morte avrebbe affermato la mia vita. Vivevo, ma non ero».

Un giorno, però, Daniela guarda una puntata del “Maurizio Costanzo Show” e la sua ospite Eva Robin’s che dice: «Non sono ermafrodito, sono una persona trans. Faccio una cura per essere ciò che sono». In quel momento Raffaele scopre Daniela, riscopre la vita, accantona quel drammatico progetto di morte. Si reca al San Camillo, a Roma, e va da un sessuologo anziano a Napoli che la riconosce, per la prima volta: «Tu sei una donna. Rispetto a questa verità non potrai fare nulla». Per Daniela cambia tutto.

Aveva le scarpe rotte, non aveva soldi e tutto ciò che aveva lo usava per questa sua ricerca di nuova vita. Camminava con le suole consumate, si attaccavano le gomme da masticare sui calzini, ma a lei non importava: non si era mai sentita più ricca di così. «Non volevo andare ad abitare da sola perché non potevo lavorare. Una donna trans ha poche alternative in una società che ti ghettizza e ti associa alla prostituzione».

Suo padre viene arrestato e lei interrompe ogni legame con quello che considera un mostro, più della camorra e dei reati commessi. Dopo venticinque anni s’incontrano in una scuola. Si erano visti l’ultima quando lei per tutti era ancora Raffaele; ora lui la rivede donna. «Si trova lì con la compagnia teatrale di Rebibbia, mi viene vicino e mi dice: “U sang è sang, ti ho riconosciuto”. Si complimenta perché capisce che sono diventata una professionista, che ho una vita solida. Quel giorno ho permesso al bambino di distaccarsi dal padre per sempre. Non l’ho mai più sentito».

Oggi Daniela lavora nel Consultorio di Portici InConTra (è l’unico in Italia totalmente gratuito e ha ricevuto il bollino blu dal ministero della Salute); collabora con la segreteria nazionale di Arcigay, con delega a legalità, contrasto alle mafie e carceri, e fa parte del comitato territoriale Antinoo Arcigay Napoli. Oggi Daniela ha un rapporto sereno con sua madre ed è una donna felice.