editoriale

Quei giovani che protestano per l’ambiente incarnano la nostra Costituzione

di Alessandro Mauro Rossi   25 maggio 2023

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I gesti degli attivisti per il clima non sono condivisibili. Ma hanno il merito di destare le coscienze su un’emergenza concreta, attestata da scienza e natura. La politica, invece, li ignora. Eppure, il diritto delle nuove generazioni a un mondo in salute è sancito dalla Carta fondamentale

Sono da condannare ma sono da assolvere un minuto dopo. E, forse, persino da premiare col senno di poi, davanti ai fatti di cronaca. Sono i ragazzi di Ultima Generazione a cui si possono aggiungere tutti quelli delle ultime generazioni che stanno combattendo una battaglia per l’ambiente e la salvaguardia del pianeta. Protestano, ma molti di loro sono a spalare fango in Romagna. Scienza e natura stanno dalla loro parte. La politica, invece, si volta dall’altra, oppure li condanna perché, con gesti non condivisibili, imbrattano i monumenti con vernice lavabile o gettano nelle fontane carbone vegetale, facendo meno danni di quanti ne fa lo smog (dice l’ambientalista Mario Tozzi).

Resta il gesto. Sicuramente non condivisibile e da condannare in sé, ma dirompente in un mondo assonnato sul tema e coinvolto solo a parole nella difesa dell’ambiente. In ogni programma di ogni governo che si è presentato alle Camere negli ultimi 30 anni il tema dell’ambiente è sempre stato al primo posto, salvo poi scivolare all’ultimo nei fatti concreti come l’alluvione in Romagna con 15 morti, 36 mila sfollati e miliardi di danni.

Dobbiamo essere onesti, almeno intellettualmente. Non possiamo dare la colpa dell’ultima tragedia, come delle altre, al destino cinico e baro. È vero, è caduta tanta, troppa pioggia tutta insieme. Ma ha trovato, con una cinica battuta, terreno fertile anche per colpa delle mancanze dell’uomo.

Gli ultimi 30 anni sono legati da una striscia di disastri. Paolo Biondani li ha messi in fila: Alessandria (1994), Sarno e Quindici (1998), Nord del Piemonte e Valle d’Aosta (2000), Valcanale in Friuli (2003), Cavallerizzo di Cerzeto (2005), Messina (2009), Borca di Cadore (2009), Montaguto (2010), Val di Vara, Cinque Terre e Lunigiana (2011), Alta Val d’Isarco (2012), Genova (2011 e 2014), San Vito di Cadore (2015), Madonna del Monte (2019), Chiesa in Valmalenco (2020), Senigallia (2014 e 2022), Ischia (2022), Emilia-Romagna (2023).

L’Italia, per natura, ha un territorio ad alto rischio di alluvioni, smottamenti (con più di un quarto del totale delle frane censite in Europa), terremoti, erosioni costiere, eruzioni vulcaniche. E addirittura, come racconta Erasmo D’Angelis, molte località hanno scritto il loro destino nel toponimo. Uno su tutti: Vajont, che nel dialetto locale significa, Va giù. Senza contare che la frana assassina fu causata dal crollo non della diga ma del versante del Monte Toc che sta per “marcio” o “in bilico”.

L’inarrestabile consumo del suolo è una delle cause della sconfitta che la natura ci sta infliggendo. Il fenomeno di impermeabilizzazione, attraverso l’immissione di materiali artificiali (asfalto, calcestruzzo), come racconta il rapporto 2022 Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, è la principale ragione del degrado ambientale che si sta verificando in Europa.

L’Emilia-Romagna, dopo la Lombardia e il Veneto e subito prima del Piemonte, come ci ricorda Luigi Balestra, è la regione in cui si è avuto il maggiore incremento netto di suolo consumato nel 2021 (+ 658 ettari). In queste quattro regioni, con la maggiore concentrazione di attività produttive si dà prevalenza assoluta, a scapito della tutela dell’ambiente e della sicurezza, all’espansione di aree industriali e commerciali. Un paradosso se si pensa che la Costituzione è stata di recente modificata agli articoli 9 e 41. Si è stabilito che è compito della Repubblica provvedere alla tutela dell’ambiente anche nell’interesse delle future generazioni. Che, per fortuna, hanno tutta l’intenzione di farla valere.